di Carlo Noviello
La storia di Freya è solo l’ultimo episodio di sopraffazione dell’uomo nei confronti di un animale, la cui unica colpa è stata quella di accorciare troppo le distanze con lo stesso essere umano che, però, non perde occasione per farlo di continuo a proprio piacimento, arrogandosi il diritto di supremazia assoluta sul mondo animale e non solo.
Per chi non avesse avuto modo di seguire la sua storia in questo periodo di vacanze, Freya è un esemplare femmina di tricheco che da un po’ di tempo aveva cominciato a stazionare nel porto di Oslo (in una zona decisamente lontana dalle acque che normalmente la sua specie frequenta), diventando una vera e propria attrazione, tanto da giocare con i bagnanti e accomodarsi a prendere il sole sulle barche presenti.
Benché i trichechi siano animali assolutamente pacifici, le autorità norvegesi hanno pensato bene di ritenere la sua presenza un pericolo per l’uomo, decidendone così l’abbattimento. Anzi, le hanno praticato l’eutanasia, così hanno voluto nominare questo atto di assoluta prevaricazione nei confronti del mammifero, che noi, invece, preferiamo definire come un’uccisione premeditata, cioè quello che nel caso degli umani definiremmo assassinio.
Ricordiamo alle autorità norvegesi, in particolare al capo della Direzione della pesca Frank Bakke-Jensen, che l’eutanasia è un atto messo in pratica per il bene dell’essere vivente che vede la sua qualità della vita seriamente compromessa e non ci sembra questo il caso. Inoltre, l’atto in sé, tra l’altro, è fortemente condizionato da innumerevoli implicazioni di carattere morale.
Non è certo questo il posto adatto per approfondire l’argomento, ma una cosa possiamo dirla, anzi più d’una: l’animale non era in pericolo di vita, né lo erano le persone e c’erano certamente altri modi meno cruenti per allontanare l’animale dall’eccessiva vicinanza all’uomo.
Si è scelta la maniera più semplice ma più contestabile.
Come sempre l’essere umano si macchia del reato che più gli si addice e cioè l’inumanità. Il paradosso più significativo che attanaglia la nostra specie, che non fa altro che parlare d’amore ma che molto poco ne pratica, soprattutto quando ha a che fare con esseri più deboli.
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