di GIANFRANCO DE BIASI
Negli ultimi anni e, sempre di più, con l’attuale mutazione antropologica in essere del vivere a distanza, la comunicazione in rete ha visto crescere un fenomeno collegato al mercato. Quello di persone che raccomandano di acquistare un determinato prodotto e, nel mentre lo propongono, vivono del numero di contatti e visualizzazioni ricevuti. Spieghiamo in modo semplice: piattaforme sociali, nel mettere a disposizione spazi (che poco o nulla sono di confronto) vengono invase da promotori dei più disparati prodotti commerciali, taluni apertamente sponsorizzati da brands, altri apparentemente ‘liberi’. Il fine è, nell’uno e l’altro caso, vendere.
In pratica, Vloggers e youtubers sono venditori; non nel senso del vendere direttamente un prodotto ma disquisendone. Nel dibattere circa le qualità e i presunti vantaggi di questo o quel prodotto, lo promuovono ad un pubblico sempre più irretito e imbalsamato. Al punto che i più giovani risultano sedotti più che dal prodotto in sé, dalle modalità e dal soggetto che lo promuove. Sono davvero pochi, nei tanti settori del mercato globalizzato, a svolgere una legittima disamina di un determinato prodotto. La maggior parte di questi ‘influencers’ sono in realtà influenzati dalla propria pochezza culturale. Più si va nel tecnico poi, più gli avventori risultano meri ciarlatani alla pari degli imbonitori che nel Far West propinavano liquidi miracolosi, panacee per ogni nocumento.
Mi soffermo su un delicato settore che muove una bella fetta di soldi a livello mondiale: quello fotografico e, in generale, dei filmmaker. Più della moda, più della cosmesi, più dell’alimentazione, più delle auto, il settore delle novità foto-filmografiche è un grande mare in cui sguazzano migliaia di ‘guru’. Oltre le riviste on line di settore, ai margini, vi è un florilegio di recensori che sembrano avere la parola verità quale verbo da inoculare nel prossimo. Quando un grande brand lancia un ultimo modello di camera fotografica o di cinepresa digitale, nel giro di pochi giorni piovono migliaia di reviews che, salvo una manciata di veri esperti, sono del tutto uguali e mimeticamente, ripetono la stessa cosa tessendo lodi o denigrando (dipende se si è al soldo di un brand o meno) il nuovo modello immesso sul mercato. Le case produttrici, consapevoli del ruolo svolto da tali ‘galoppini’, hanno mutuato l’abitudine di affidare, prima del lancio ufficiale, versioni beta dei prodotti, il tutto appositamente concepito per lo scopo promozionale. Ora, come detto, i veri esperti si contano sulle dita di una mano.
La nostra era sta vivendo una mutazione antropologica che è epifenomeno della globalizzazione dei mercati e delle pandemie. Crediamo di essere liberi acquistando un prodotto quando invece ne siamo vincolati, schiavi, a partire dalla produzione e dallo scarto di esso. La stragrande maggioranza dei videobloggers, attraverso i post su youtube muove interessi e guadagni. Se analizziamo i livelli di conoscenza e di formazione di questi individui si potrebbe dire che siamo messi male, molto male. Malgrado ciò, chi è messo ancora peggio è l’utente, per così dire, finale: il consumatore. Poiché se questi è acriticamente un compulso compratore di media cultura, il battitore dei nostri tempi, l’influencer di turno è, ahinoi, un influenced a sua volta, un replicante del grande mostro globalizzante…
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