di Carlo Noviello
Si sta parlando tanto in questi giorni dell’impatto della pandemia sulle nuove generazioni, a cominciare dalla chiusura della scuola. Chiudere per evitare ulteriori contagi oppure continuare perché la scuola resta un luogo fondamentale per la crescita di bambini e ragazzi, oltre che un luogo sostanzialmente sicuro, viste le tante precauzioni messe in atto in questi mesi.
Tralasciando le polemiche, giuste o sbagliate che siano, sul “si poteva e doveva fare di più”, e mettendo da parte le proprie opinioni personali in merito, si possono però fare alcune considerazioni, cercando di tener lontano il voler paragonare epoche diverse e condizioni diametralmente opposte.
Perché ci si preoccupa così tanto della socialità dei nostri figli nel mondo scolastico, ma fino a ieri li abbandonavamo davanti allo schermo di un tablet o di un telefonino, cosa che saremmo pronti a rifare appena tutto sarà finito?
Durante il “confinamento” intere famiglie hanno riscoperto il gusto di stare con i propri figli, giocare con loro, inventare con loro nuovi giochi o riscoprirne di vecchi, magari quelli che gli stessi genitori facevano quando erano bambini. Leggere insieme un libro come non si era mai fatto, scoprire il piacere di vedere un film o un cartone animato con loro e discuterne alla fine o nel mentre. Studiare con loro. È mancato il poter vivere all’aria aperta e questo chiaramente ci si augura di non doverlo più vivere, ma lasciando da parte questo aspetto, pur se assolutamente non secondario, è legittimo chiedersi quanto abbia impattato positivamente, soprattutto sui più piccoli, la possibilità di vivere tanto tempo con i propri genitori, cosa alla quale non si è abituati tra scuole aperte fino a tardi, sport ogni singolo giorno della settimana, feste in ludoteca un giorno sì e l’altro pure, con genitori “ridotti” a meri mezzi di trasporto dei propri figli.
Ogni generazione attacca quella successiva, accusandola di avere troppo, di non essere in grado di vivere con l’essenziale, di essere troppo legata agli aspetti materiali. Fa parte del gioco, è sempre stato così. Perché, quindi, non approfittare di questa occasione per ricostruire il nostro mondo familiare e limitare l’effetto della nostra vita quotidiana, alla quale siamo costretti, sul rapporto genitori-figli?
I periodi di crisi lasciano sempre molto spazio alla riflessione sul cosa siamo e cosa avremmo dovuto essere. Sarebbe bello se anche in questo caso prendessimo questo brutto periodo della nostra esistenza per rivedere il nostro vivere sociale e familiare, spesso appiattito completamente sulle necessità del mondo contemporaneo, a sua volta piegato e ripiegato sui “valori” della produttività e del lavoro. Necessità assolutamente cogenti nel mondo che viviamo, ma non esclusive, e toccherebbe a noi combattere per difendere noi e i nostri ragazzi da questa visione del mondo che sgretola le nostre coscienze.
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