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L’INTERVISTA: Giuseppe Mazzarella, medico contagiato dal Coronavirus

di FLORIANA BASSO

Giuseppe Mazzarella, medico ortopedico attualmente residente a Salerno, sua città natale, racconta, attraverso le nostre pagine la sua esperienza con il Coronavirus. Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, le sue parole hanno una duplice valenza di esperienza e insegnamento, in quanto contagiato, ma ancor di più di professionista.

Partiamo dall’inizio, quando ha scoperto di aver contratto il covid-19?

Ufficialmente il 17 marzo intorno alle 19 quando, attraverso una telefonata, mi è stata comunicata la positività in seguito all’esecuzione di tampone eseguito la mattina dello stesso giorno presso il Presidio ospedaliero “Martiri di Villa Malta” di Sarno, dove presto servizio come Ortopedico.

Cos’ha provato quando ha saputo della positività?

E’ stato un fulmine a ciel sereno, anche perché la sintomatologia che accusavo era molto blanda. Ho subito pensato alla salute delle persone che mi sono vicine che purtroppo era, almeno da parte mia, un contagio annunciato, lavorando in ospedale ed essendo a contatto con tante persone. Poi naturalmente ho cominciato a pensare che la mia sintomatologia si sarebbe potuta aggravare; come tutti gli esseri umani, sono stato assalito da tanti brutti pensieri.

È stata difficile la ricostruzione dei contatti?

Inizialmente è stata abbastanza laboriosa per fortuna sono stati soltanto 15 giorni precedenti alla mia positività. Naturalmente ho ricordato i contatti avuti con i familiari più stretti e tutto è stato reso facile dal fatto che già era in vigore una sorta di quarantena: lavoro/casa casa/lavoro.

Sono state contagiate altre persone intorno a lei?

Per fortuna nessuno

Come avvenivano i contatti con Asl e autorità competenti?

Avevo un numero di telefono attraverso il quale comunicavo la mia sintomatologia ed i miei parametri due volte al giorno.

Quali sintomi fisici ha provato?

Un episodio febbrile un giorno ed una settimana di tosse secca, per fortuna senza deficit respiratorio.

Come ha trascorso questo “tempo sospeso”?

Devo premettere che mi ha molto aiutato la mia condizione abitativa, avendo una casa grande con ampi spazi. Penso che come tutti mi sono dedicato un po’ alla lettura, molto alla tv e alla cucina, ma soprattutto ho impiegato il tempo nello studio per l’aggiornamento professionale.

Lei ha esercitato per molti anni la sua professione al Nord. In questo tempo di criticità ha mantenuto contatti con colleghi di ospedali e centri che operano in piena emergenza? Quali le considerazioni?

Si, sono stato in contatto quotidianamente con i miei colleghi dell’ospedale “Bolognini” di Seriate, provincia di Bergamo, e devo ammettere che loro hanno vissuto la vera emergenza. Mi hanno raccontato di storie strazianti e purtroppo ho perduto colleghi con cui ho lavorato fino a pochi mesi fa.

Quanti tamponi possono essere necessari prima che un paziente possa essere dichiarato guarito?

Questo è un grosso punto interrogativo. Il protocollo prevede la negatività di due tamponi eseguiti a distanza di 24 ore l’uno dall’altro.

Tra ansie e timori generali ci apprestiamo a dare inizio a questa Fase 2. Sulla base della sua esperienza di medico e contagiato, quali consigli si sente di dare ai nostri lettori?

Innanzitutto ci vuole molto senso civile. Non bisogna farsi prendere dal panico e seguire attentamente le direttive dalle autorità competenti. Solo in questo modo si potrà uscire da questo incubo e riprendere una vita normale.

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