di Carlo Noviello
È di questi giorni la notizia della studentessa che avrebbe contratto l’Hiv nel laboratorio di un’università europea nel quale si trovava per svolgere delle ricerche per la sua tesi di laurea. Con una particolarità tutta nuova nello scenario scientifico e cioè che tale contagio sarebbe avvenuto con un virus generato in laboratorio e, quindi, teoricamente con capacità di replicazione pari a zero.
La notizia ha particolarmente colpito l’immaginario della nostra rubrica, non soltanto per la drammaticità della vicenda della giovane, ma anche perché tocca un tema che sembra ormai dimenticato, quanto meno dal mondo della comunicazione e in particolare da quella rivolta ai giovani.
Negli anni ’80 e ‘90 il tema dell’Aids contraddistinse moltissimo la vita dei giovani di quel periodo: film come Philadelphia, interpretato da Tom Hanks, oppure la storia personale del cantante dei Queen Freddie Mercury, raccontarono al mondo questa nuova malattia, della quale nessuno conosceva la genesi, né lo sviluppo. Molte furono le teorie in tal senso e non furono poche le “storie” che raccontavano la possibile nascita e scoperta del virus: la peste del secolo venne denominata.
La malattia o sindrome, come sarebbe più giusto chiamarla (Sindrome da immunodeficienza acquisita), andava a colpire nell’intimo delle persone e nel loro vivere sociale, perché si trasmetteva (e si trasmette) attraverso i rapporti sessuali o le trasfusioni, ma anche semplicemente da madre a bambino durante il parto o l’allattamento. Tutto ciò provocò non pochi allarmismi, in particolare riguardo la possibilità della trasmissione dell’infezione per via sessuale, in quanto rendeva pericoloso, per la propria vita e per quella altrui, un gesto naturale come fare l’amore.
Questa tipologia di trasmissione del virus così prossima, comportò una vera e propria psicosi, accrescendo sempre più le leggende metropolitane sulle modalità di contagio. Era il tempo in cui il famoso immunologo Fernando Aiuti baciò pubblicamente sulle labbra una ragazza sieropositiva per dimostrare la non trasmissibilità del virus attraverso un semplice bacio.
Soprattutto il mondo omosessuale, ne fu colpito. Già abbondantemente bistrattato e ghettizzato, fu ancora di più messo alla gogna. Non è un caso che il film statunitense sopra citato racconti la storia di un giovane avvocato di successo che, essendo gay e dopo la scoperta della malattia da parte di colleghi e presunti amici, perde tutto ciò che ha. Anche l’icona rock Freddie Mercury sposava perfettamente l’idea ormai più che comune del “perfetto malato di Aids”: maschio e gay.
Tanto è vero che anche quando non si parlava di personaggi direttamente riconosciuti come omosessuali, la scoperta della malattia faceva immediatamente scattare la gogna mediatica delle illazioni sulla loro sessualità (ammesso che ci sia da fare illazioni sulle scelte sessuali…): questo è il caso dell’attore Rock Hudson. Forse solo con l’annuncio della propria sieropositività da parte del famoso campione di basket Magic Johnson, il mondo cominciò a prendere pienamente coscienza del fatto che il contagio non fosse legato né al genere, nella alle scelte sessuali delle persone.
È importante sottolineare i passi da gigante fatti dalla medicina in questi trent’anni e più, partendo dalla cura con il famoso farmaco Azt nel 1988. Fermo restando la gravità della sindrome, le cure oggi permettono a chi abbia contratto il virus di vivere una vita sempre più dignitosa.
Ciò, però, non dovrebbe far abbandonare l’idea della necessità dell’informazione. E, invece, in questi ultimi anni il virus non fa più notizia e la malattia sembra sia scomparsa completamente dallo scenario del mondo giovanile, nonostante riguardi anche la sfera della sessualità, alla quale ci si avvicina con un’età sempre più giovane. Tema, questo, sempre molto complicato da trattare, soprattutto nel nostro Paese, preso sempre tra i due fuochi dell’oscurantismo e del provincialismo.
Come conseguenza si è avuta la lenta scomparsa dell’informazione sulla prevenzione, per grandi e piccoli, ma soprattutto per questi ultimi, nati nel terzo millennio e che, a volte, non conoscono nulla delle malattie trasmissibili attraverso l’atto sessuale: non di solo Hiv, infatti, bisogna parlare ma anche di epatiti, papilloma virus, ecc.
Tantissime sono le ricerche che raccontano un mondo giovanile molto lontano dall’uso di precauzioni durante i rapporti sessuali, soprattutto quelli promiscui, a causa della scarsa conoscenza delle diverse patologie e delle modalità di trasmissione. Non è un caso che negli ultimi anni, in netta controtendenza con gli anni trascorsi, stia aumentano il numero di casi di malattie trasmissibili sessualmente e ciò, paradossalmente, proprio tra i giovanissimi e nei Paesi maggiormente sviluppati.
Sarebbe il caso, quindi, di correre ai ripari e utilizzare i canali migliori, a cominciare dai social, per far giungere ai giovani un importante messaggio per la loro personale salute e quella dell’intera comunità.
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